Il cimitero marino
Traduzione di Fabio Delizzos
Il cimitero marino, si compone di 24 strofe, ciascuna di sei versi décasyllabe (equivalenti agli endecasillabi italiani), con uno schema di rime AABCCB. Paul Valery parla di un camposanto situato nei pressi del litorale, immerso nella luce solare che si rifrange sulla superficie del mare. Alla narrazione del luogo intreccia meditazioni sull'esistenza, sull'essere eterno e l'essere umano segnato dalla morte, dalla negazione dell’essere e dell'individuo. I concetti filosofici si fondono in immagini poetiche, perché ogni pensiero si dissolve nella bellezza contemplativa da cui sgorga.
Questo posto esiste realmente: è il cimitero della città di Sète (località natale dell'autore), che era riservato ai marinai e ai forestieri. In seguito alla grande notorietà datagli da questo componimento, nel 1945 fu ufficialmente ribattezzato "Cimetière marin".

Il tetto quieto corso da colombe,
palpita fra i pini, qui, fra le tombe;
mezzodì il giusto vi compone in fiamma
il mare, il mare sempre riniziato!
Che ricompensa dopo aver pensato
un lungo sguardo alla divina flemma!
Il lavoro dei bagliori consuma
diamanti di impercettibile spuma,
e che pace sembra farsi esistenza!
Quando sull’abisso un sole è fermo,
opere pure di un motivo eterno,
Tempo scintilla, Sogno è conoscenza.
Tesoro stabile, tempio a Minerva,
massa di calma e visibile riserva,
acqua che alza il ciglio, Occhio che hai tutto
questo sonno sotto un fuoco velato,
mio silenzio! Nell’anima edificato,
vetta d’oro a mille tegole, Tetto!
Tempio del tempo, sunto da un sospiro,
ascendo e mi acclimato al punto puro,
circondato dal mio sguardo marino:
e agli dèi come offerta superiore,
dissemina il sereno scintillare
sull’altitudine, sdegno sovrano.
Come il frutto si fonde nel godere,
come la sua assenza muta in piacere
nella bocca mentre la forma muore,
qui io respiro il mio futuro fumo,
e il cielo canta all’anima in consumo
il mutare delle rive in rumore.
Bel cielo, vero, guardami cambiare!
Dopo tutto l’orgoglio e l’oziare
strano, ma, così pieno di portento
mi abbandono agli spazi brillanti,
la mia ombra su dimore di estinti,
e mi piego al fragile movimento.
L'anima esposta al focoso solstizio
ti sostengo, ammirevole giudizio
della luce in armi prive di pietà!
Ti porgo pura al luogo in cui eri in nuce,
Guardati! ... Ma dare indietro la luce
implica un’ombra, una cupa metà.
Solo per me, a me stesso soltanto,
vicino a un cuore, fonte del canto,
fra il vuoto e l’accadere puro,
attendo un’eco di vastità interna,
amara, oscura e sonora cisterna,
suona nell’animo un vuoto futuro!
Lo sai, falso prigioniero delle foglie,
golfo che divora le magre griglie,
sugli occhi chiusi ho segreti accecanti,
che corpo mi porta pigro alla fossa,
che fronte l’attira alla terra d’ossa?
Una scintilla e penso ai miei assenti.
Chiuso, sacro, con incorporea face,
frammento terrestre offerto alla luce,
qui mi piace, è il regno dei ceri,
fatto d’oro e pietra, e oscure fronde,
il marmo trema su altrettante ombre;
fedele, il mare dorme sulle bare!
Splendida cagna, l’idolatra scaccia!
Quando il pastore mi sorride in faccia,
porto al pascolo armenti misteriosi,
candido gregge delle calme tombe,
allontana le prudenti colombe,
i sogni vani, gli angeli curiosi!
Venuto qui, il futuro è inattività.
il netto insetto gratta l’aridità;
tutto è arso, sfatto, accolto in alto
a non so quale severa essenza…
La vita è vasta, è ebbra d’assenza,
l’amaro è dolce e lo spirito in risalto.
I morti stanno bene nel terreno
che li scalda e ne assorbe l’arcano.
Mezzodì lassù, senza movimento
si pensa in sé e per se stessa è buona
testa completa e perfetta corona,
sono in te il segreto cambiamento.
Per frenare le paure hai me soltanto!
Vincoli, dubbi, il mio ripensamento
sono i difetti del tuo gran diamante!...
Ma il marmo grava sulla loro notte,
fra le radici degli alberi le frotte
han preso la tua parte lentamente.
Fusi in una così spessa assenza,
argilla rossa beve specie bianca
la vita avuta scorre negli steli!
Dove sono le arti dei defunti,
le frasi usuali di singole menti?
La larva, dove si crea il pianto, fila.
Gli strilli di ragazze provocate,
gli occhi, i denti, le palpebre bagnate,
il bel seno che gioca con il fuoco,
sangue che brilla sulle labbra arrese,
le strenne e le dita che le han difese,
tutto va alla terra e torna nel gioco!
E tu, grande anima, speri un sogno
che mai più avrà colori di menzogna
di onde e d’oro sull’occhio carnale?
Canterai quando sarai vaporosa?
Fuggite! la mia presenza è porosa,
pure la santa impazienza è mortale!
Magra immortalità nera e aurea,
consolatrice con tremenda laurea,
che della morte fai seno materno,
la bella menzogna, devota e astuta!
Chi non conosce, e chi non rifiuta,
quel cranio vuoto e quel sogghigno eterno!
Profondi padri, teste inabitate,
che sotto il peso di tante palate
siete la terra, intralciate il cammino,
il vero tarlo, indiscusso verme
non è per chi sotto la lapide dorme,
vive di vita, e sta sempre vicino!
Amore o, forse, odio di me stesso?
il suo segreto dente mi sta addosso
e ogni nome gli può convenire!
Che importa! Vede, sogna, tocca, vuole!
gusta la carne fino al capezzale,
al vivo, vivo per appartenere!
Zenone di Elea! Zenone crudele!
Mi ha trafitto la freccia con le ali
che vola e vibra ma non sta volando!
Nasco dal suono e al dardo soccombo!
Il sole! Della tartaruga è un’ombra
per l’anima, Achille fermo sta correndo!
No, no! ... State in piedi! Nell’era entrante!
Spezza, corpo, questa forma pensante!
Bevete, mio seno, la nascita dei venti!
Una freschezza, dal mare esalata,
ridà l’anima... Potenza salata!
Corriamo all’onda e torniamo viventi.
Sì! immenso mare pieno di deliri,
manto di pardo e clamide con fori,
di mille e mille soli per il culto,
Idra assoluta, carne blu inebriante,
che ti mordi la coda scintillante
in un silenzio simile al tumulto.
Si alza il vento! … tentiamo la vita!
apre e chiude il libro l’aria infinita,
onda polverosa osa scogliere!
Volate via, pagine luminose!
si infrangano onde d’acque gioiose
sul tetto dove beccano le vele!
Il testo originale:
Ce toit tranquille, où marchent des colombes,
Entre les pins palpite, entre les tombes ;
Midi le juste y compose de feux
La mer, la mer, toujours recommencée !
Ô récompense après une pensée
Qu’un long regard sur le calme des dieux !
Quel pur travail de fins éclairs consume
Maint diamant d’imperceptible écume,
Et quelle paix semble se concevoir !
Quand sur l’abîme un soleil se repose,
Ouvrages purs d’une éternelle cause,
Le Temps scintille et le Songe est savoir.
Stable trésor, temple simple à Minerve,
Masse de calme, et visible réserve,
Eau sourcilleuse, Œil qui gardes en toi
Tant de sommeil sous un voile de flamme,
Ô mon silence !… Édifice dans l’âme,
Mais comble d’or aux mille tuiles, Toit !
Temple du Temps, qu’un seul soupir résume,
À ce point pur je monte et m’accoutume,
Tout entouré de mon regard marin ;
Et comme aux dieux mon offrande suprême,
La scintillation sereine sème
Sur l’altitude un dédain souverain.
Comme le fruit se fond en jouissance,
Comme en délice il change son absence
Dans une bouche où sa forme se meurt,
Je hume ici ma future fumée,
Et le ciel chante à l’âme consumée
Le changement des rives en rumeur.
Beau ciel, vrai ciel, regarde-moi qui change !
Après tant d’orgueil, après tant d’étrange
Oisiveté, mais pleine de pouvoir,
Je m’abandonne à ce brillant espace,
Sur les maisons des morts mon ombre passe
Qui m’apprivoise à son frêle mouvoir.
L’âme exposée aux torches du solstice,
Je te soutiens, admirable justice
De la lumière aux armes sans pitié !
Je te rends pure à ta place première :
Regarde-toi !… Mais rendre la lumière
Suppose d’ombre une morne moitié.
Ô pour moi seul, à moi seul, en moi-même,
Auprès d’un cœur, aux sources du poème,
Entre le vide et l’événement pur,
J’attends l’écho de ma grandeur interne,
Amère, sombre, et sonore citerne,
Sonnant dans l’âme un creux toujours futur !
Sais-tu, fausse captive des feuillages,
Golfe mangeur de ces maigres grillages,
Sur mes yeux clos, secrets éblouissants,
Quel corps me traîne à sa fin paresseuse,
Quel front l’attire à cette terre osseuse ?
Une étincelle y pense à mes absents.
Fermé, sacré, plein d’un feu sans matière,
Fragment terrestre offert à la lumière,
Ce lieu me plaît, dominé de flambeaux,
Composé d’or, de pierre et d’arbres sombres,
Où tant de marbre est tremblant sur tant d’ombres ;
La mer fidèle y dort sur mes tombeaux !
Chienne splendide, écarte l’idolâtre !
Quand, solitaire au sourire de pâtre,
Je pais longtemps, moutons mystérieux,
Le blanc troupeau de mes tranquilles tombes,
Éloignes-en les prudentes colombes,
Les songes vains, les anges curieux !
Ici venu, l’avenir est paresse.
L’insecte net gratte la sécheresse ;
Tout est brûlé, défait, reçu dans l’air
À je ne sais quelle sévère essence…
La vie est vaste, étant ivre d’absence,
Et l’amertume est douce, et l’esprit clair.
Les morts cachés sont bien dans cette terre
Qui les réchauffe et sèche leur mystère.
Midi là-haut, Midi sans mouvement
En soi se pense et convient à soi-même…
Tête complète et parfait diadème,
Je suis en toi le secret changement.
Tu n’as que moi pour contenir tes craintes !
Mes repentirs, mes doutes, mes contraintes
Sont le défaut de ton grand diamant…
Mais dans leur nuit toute lourde de marbres,
Un peuple vague aux racines des arbres
A pris déjà ton parti lentement.
Ils ont fondu dans une absence épaisse,
L’argile rouge a bu la blanche espèce,
Le don de vivre a passé dans les fleurs !
Où sont des morts les phrases familières,
L’art personnel, les âmes singulières ?
La larve file où se formaient des pleurs.
Les cris aigus des filles chatouillées,
Les yeux, les dents, les paupières mouillées,
Le sein charmant qui joue avec le feu,
Le sang qui brille aux lèvres qui se rendent,
Les derniers dons, les doigts qui les défendent,
Tout va sous terre et rentre dans le jeu !
Et vous, grande âme, espérez-vous un songe
Qui n’aura plus ces couleurs de mensonge
Qu’aux yeux de chair l’onde et l’or font ici ?
Chanterez-vous quand serez vaporeuse ?
Allez ! Tout fuit ! Ma présence est poreuse,
La sainte impatience meurt aussi !
Maigre immortalité noire et dorée,
Consolatrice affreusement laurée,
Qui de la mort fait un sein maternel,
Le beau mensonge et la pieuse ruse !
Qui ne connaît, et qui ne les refuse,
Ce crâne vide et ce rire éternel !
Pères profonds, têtes inhabitées,
Qui sous le poids de tant de pelletées,
Êtes la terre et confondez nos pas,
Le vrai rongeur, le ver irréfutable
N’est point pour vous qui dormez sous la table,
Il vit de vie, il ne me quitte pas!
Amour, peut-être, ou de moi-même haine ?
Sa dent secrète est de moi si prochaine
Que tous les noms lui peuvent convenir !
Qu’importe ! Il voit, il veut, il songe, il touche !
Ma chair lui plaît, et jusque sur ma couche,
À ce vivant je vis d’appartenir !
Zénon ! Cruel Zénon ! Zénon d’Élée !
M’as-tu percé de cette flèche ailée
Qui vibre, vole, et qui ne vole pas !
Le son m’enfante et la flèche me tue !
Ah ! le soleil… Quelle ombre de tortue
Pour l’âme, Achille immobile à grands pas !
Non, non !… Debout ! Dans l’ère successive !
Brisez, mon corps, cette forme pensive !
Buvez, mon sein, la naissance du vent !
Une fraîcheur, de la mer exhalée,
Me rend mon âme… Ô puissance salée !
Courons à l’onde en rejaillir vivant!
Oui ! Grande mer de délires douée,
Peau de panthère et chlamyde trouée
De mille et mille idoles du soleil,
Hydre absolue, ivre de ta chair bleue,
Qui te remords l’étincelante queue
Dans un tumulte au silence pareil,
Le vent se lève !… Il faut tenter de vivre !
L’air immense ouvre et referme mon livre,
La vague en poudre ose jaillir des rocs !
Envolez-vous, pages tout éblouies !
Rompez, vagues ! Rompez d’eaux réjouies
Ce toit tranquille où picoraient des focs !
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