5 poesie di Theodore Roethke

L'ABISSO

da Sequenza mista, mia traduzione

1

 

È qui la scala?

La scala dov’è?

«La scala è proprio qui,

ma non porta da nessuna parte.»

 

E l’abisso? l’abisso?

«L’abisso non puoi mancarlo:

è dove sei tu –

un gradino sotto la scala.»

 

Ogni volta sempre

c’è costantemente un

un mezzodì di fallimento,

parte di una casa.

 

Nel mezzo di,

attorno a una nuvola,

in cima a un cardo

sta rallentando il vento.

 

 

2

In molti modi mi hanno parlato

ma ho udito poco.

La mia bocca incauta ha spaurito

il mio teste interiore.

Troppo spesso ho preso il sentiero insidioso,

quello arido, vago,

né fuori né dentro questa vita.

 

Chi è santo tra noi?

Che discorsi restano?

Sento il chiasso del muro.

Si sono rivelati,

quelli che spregiano la colomba.

 

Stai con me, Whitman, fabbro di cataloghi:

perché il mondo nuovamente m’invade,

ancora una volta le lingue cominciano a balbettare.

 

E la terribile fame d’oggetti mi soggioga

il davanzale trema.

E sulla tenda un bruco

peloso, striscia giù per la stringa.

Mio simbolo!

Perché io mi sono accostato alla morte, con la morte ho vissuto;

per settimane, come un’infermiera, sedette con me, scorta infida e sprezzante,

 

Guardandomi circospetta le mani.

Chi l’ha mandata via?

Non sono più l’uccello che tuffa il becco in crepe acque,

ma una talpa che serpeggia nella terra,

una lontra a pesca notturna.

 

 

3

Troppa realtà può essere un abbaglio, un eccesso;

troppa immediatezza, una consunzione:

come quando nel magazzino del fiorista si spalanca la porta –

la fuga di odori sferza come un fuoco freddo, la gola si raggela,

e si ritorna al calore d’agosto

Castigati

 

Così l’abisso –

le gelide cime scivolose

dopo l’angoscia accecante,

l’arrampicata, le svolte senza fine,

sferzano come fuoco,

una terribile violenza di creazione,

un lampo nel cuore ardente dell’abominevole;

pure, se aspettiamo senza timore oltre il pauroso attimo,

ecco la metamorfosi del lago fiammeggiante in stagno boschivo –

Il fuoco si placa in anelli d’acqua,

un assolato silenzio.

 

 

4

Come posso sognare se non oltre questa vita?

Mi è concesso balzare oltre il mare –

il limite di ogni terra, il mare finale?

Invidio i viticci, il loro cercare senz’occhi,

la mano del bimbo che affonda tra i viluppi di smilace,

e obbedisco al vento alle mie spalle

che mi porta verso casa dalla pesca del crepuscolo.

 

Allora, in questa semi-requie,

la conoscenza indugia per un attimo,

e un silenzioso non-conoscere subentra,

accettando se stesso,

e il fuoco danza

al flusso della

corrente.

 

Andiamo verso Dio, o solo a un’altra condizione?

Presso le onde saltate odo un sottocanto di fiume –

in un luogo di nuvole screziate, velo di nebbia da mattino a sera.

Oscillo tra buio e buio.

La mia anima quasi mia,

i miei morti che cantano.

E abbraccio questa quiete –

che pace sotto le piccole foglie! –

vicino allo stelo, più bianco alla radice,

una immobilità luminosa.

 

L’ombra parla lentamente:

«Adora e avvicinati.

Chi sa questo –

Sa tutto.»

 

 

5

Di giorno ho sete, di notte veglio.

Ricevo! Sono stato ricevuto!

Ascolto i fiori bere nella luce,

ho consultato il granchio e il riccio,

ricordo il cadere di piccole acque,

la corrente scivolare fra tronchi muschiosi,

scendere serpeggiante fino alla striscia irregolare di sabbia,

i grandi tronchi accatastati come fiammiferi.

 

Sono smoderatamente sposato:

Il Signore Iddio si è portato via la mia pesantezza,

mi sono fuso come l’uccello con l’aria splendente,

il mio pensiero vola all’albero della Bodhi.

 

Essere, non fare, è la mia prima gioia.


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